Non solo sul parquet, i rookies siedono anche in panchina

Fino ad ora la nostra rubrica “Rookie Corner” si è occupata in via esclusiva di giocatori al primo anno ma, ovviamente, i debuttanti possono sedere anche in panchina. Se nella passata stagione abbiamo assistito ad un notevole rinnovamento e ringiovanimento del parco allenatori, basti pensare ai vari Stevens, Shaw, Joerger, Kidd ecc, anche quest’anno il processo di ricambio generazionale ha portato ad affacciarsi al palcoscenico della NBA, personaggi nuovi che proveremo a conoscere e scoprire insieme.
DAVID BLATT: Cleveland Cavaliers.
Definire David Blatt un rookie è quanto di più assurdo si possa fare. Nei suoi oltre 20 anni di gloriosa carriera in Europa, l’ex allenatore del Maccabi Tel-Aviv (tra le tante altre) ha conquistato qualcosa come 4 campionati israeliani, 1 campionato italiano, 1 Eurolega, il premio di coach of the year in Eurolega, oltre ad un oro ed un bronzo europeo ed un bronzo olimpico alla guida della nazionale russa. Eppure nonostante un palmares di tutto rispetto, il fatto di non essersi mai seduto su di una panchina oltreoceano in un mondo tremendamente gerarchico e verticistico come quello della NBA, lo ha reso agli occhi di tutti “semplicemente” un rookie. Indubbiamente il fatto di trovarsi alla guida di una squadra completamente rivoluzionata e profondamente trasformata dal ritorno del giocatore più forte, ma forse anche più ingombrante della lega, ha aggiunto ulteriore pressione sul nuovo allenatore dei Cavs. In molti, alla prima palla a due della stagione, ritenevano che Cleveland potesse essere la legittima favorita al titolo già quest’anno e sono rimasti dunque attoniti davanti alla partenza a singhiozzo di James e compagnia. Sempre gli stessi molti di prima hanno immediatamente gettato, come sempre accade in questi casi, la croce addosso a coach Blatt, definendolo inadeguato ad un contesto come quello della NBA e troppo Erucentrico nelle proprie convinzioni cestistiche. Ad oggi, ultimo giorno di pausa dell’All Star Game, i Cavs si trovano al quinto posto nella eastern conference con un record di 33 vinte e 22 perse, in netta risalita sia in termini di posizioni in graduatoria che di mole di gioco espresso. Tutti i giocatori a roster, super e super-superstars comprese, hanno iniziato ad applicare con maggiore costanza e fiducia i principi del loro allenatore: difesa e Princeton Offense. Ora, nessuno sostiene che a giugno al di là di ogni ragionevole dubbio i Cavs porteranno il Larry O’Brein Trophy nella “Mistake on the Lake”, ma parafrasando Ludwig Wittingstien: “Anche per il basket, così come per il pensiero, esiste un tempo per arare ed uno per mietere”.
DEREK FISHER: New York Knicks.
L’appellativo di rookie è invece perfettamente calzante per D-Fish, Derek Fisher, il Venerabile Maestro. Fino allo scorso 10 giugno infatti il 5 volte campione NBA con i Los Angeles Lakers, indossava pantaloncini e canottiera e pennellava canestri da 3 punti per gli Oklahoma City Thunder. Nei suoi 18 anni sui più luccicanti parquet della NBA, Fisher ha sempre però mostrato quell’attitudine a spiegare pallacanestro, quell’innata capacità di comprendere il gioco negli aspetti e nelle pieghe più profonde di questo, che hanno sempre fatto pensare che un giorno sarebbe potuto diventare un coach di primissimo livello. La decisione di portare i propri talenti sulla panchina dei New York Knicks è maturata grazie (forse solo esclusivamente) alla presenza di Phill Jackson, da sempre il mentore numero 1 del playmaker da Little Rock. Il legame tra il Maestro Zen ed il Venerabile Maestro è qualcosa di molto profondo, che fissa le proprie radici in anni di dure battaglie e grandi trionfi ma anche, se non soprattutto, in una filosofia condivisa circa modo di intendere la pallacanestro ed il mondo in generale. Un legame per certi versi simile a quello con un altro debuttante: Steve Kerr, che di Jackson sarebbe stato in realtà la prima scelta, ma che come Celestino V 800 anni prima, in estate “fece il Gran Rifiuto” (di Kerr parleremo nella prossima puntata). Come il suo mentore, D-Fish sta provando a predicare, secondo il Vangelo di Winter, il sistema del “Triangle Offense”, ma, fino ad ora, con scarsi, scarsissimi risultati. I suoi Knicks infatti si trovano all’ultimo posto nella Lega con un record disarmante di 10 vittorie e 43 sconfitte, semplicemente il peggiore in senso assoluto. Il pubblico del Madison Square Garden, fiducioso che la premiata ditta Jackson-Fisher potesse risollevare le sorti di una franchigia che per certi versi appare maledetta, ha già da tempo perso la pazienza ed a Fisher non resta che sperare che non venga oltrepassato quel limite oltre il quale, questa cessa di essere una virtù.
Nella prossima puntata ci occuperemo dei segreti dietro ai successi dei Golden State Warriors del “rookie” Steve Kerr e di quelli (anche se sono un po’ più evidenti) dietro alle sconfitte degli Utah Jazz di Quin Snyder... Restate sintonizati!