Andrew Wiggins è il "Rookie of the year" annunciato, quali le sorprese?

Il primo appuntamento con una nuova rubrica che si occuperò di raccontare la stagione dei rookies "sbarcati" nel magico mondo della NBA
22.01.2015 15:00 di  Luca Servadei  Twitter:    vedi letture
Andrew Wiggins
Andrew Wiggins
© foto di Youtube

Meno rari del passaggio della Cometa di Halley, ma comunque straordinari, i draft NBA in grado di segnare un’epoca sportiva sono stati davvero pochi. Tra quelli che resteranno per sempre nella memoria di questo gioco, possiamo senz’altro menzionare quello del 1984 che ha consegnato alla lega giocatori del calibro di Michael Jordan, Hakeem Olajuwon, Charles Barkley e John Stockton, quello del 1996 dal quale sono usciti Allen Iverson, Kobe Bryant, Stephon Marbury e Ray Allen e quello del 2003, di cui possiamo ancora ampiamente godere, e che ha generosamente prodotto giocatori del calibro di LeBron James, Carmelo Anthony, Dwayne Wade e Chris Bosh. Questo, che si è tenuto lo scorso 26 giungo 2014 al Barclays Center di Brooklyn, qualora le premesse dovessero essere tutte mantenute, potrà, tra qualche anno, essere tranquillamente annoverato, assieme a quelli precedenti.

Quando siamo arrivati ormai a metà della stagione regolare, è giunto il momento, dunque, di provare ad analizzare il percorso fin qui compiuto dalla “banda” di giovani (chi più chi meno) rookies sbarcati nel luccicante pianeta della NBA, in una sorta di “Guida Cestistica per Giovani Prospetti”. Lo faremo con un appuntamento a cadenza bisettimanale che ci accompagnerà fino all’inizio dei playoffs per cercare di avere un quadro più chiaro e dettagliato su chi potrà, un giorno, sedere alla stessa tavola con le più celebri leggende del passato.

Come più o meno, ormai, tutti voi saprete, la prima scelta assoluta allo scorso draft è stato il canadese Andrew Wiggins, rimasto però nella “Mistake on the Lake” giusto il tempo di qualche sporadico allenamento e di qualche gara di preseason, prima che i suoi talenti venissero coinvolti in una delle trade più chiacchierate e discusse degli ultimi anni, impacchettati e spediti nella gelida Minneapolis per aggregarsi agli sgangherati Minnesota Timberwolves.

Nella “Mill City”, dopo 41 partite di stagione regolare (tutte da titolare), l’ex Jayhawks sta viaggiando a qualcosa come 15.1 punti di media a partita, conditi da 4,3 rimbalzi ed 1.8 assist in poco più di 32 minuti sul parquet. Effettivamente, numeri alla mano, si tratta di cifre ben lontane da quelle collezionate da un certo LeBron James (20.9 punti, 5,5 rimbalzi e 5,9 assist), al quale Wiggins è stato spesso accostato nel corso della sua giovanissima carriera, ma non sempre i freddi numeri raccontano la completa verità dei fatti. I progressi compiuti dal momento del “battesimo”, avvenuto lo scorso 29 ottobre contro i Memphis Grizzlies, ad oggi, infatti, sono stati assolutamente repentini e ben visibili anche ad un occhio nudo ed inesperto, sia in termini di personalità (da sempre forse il grande tallone d’Achille del canadese), che di letture e di scelta nella selezione dei tiri. Dagli 11 punti con il 39% dal campo del mese di novembre, l’ex Jayhawks, è passato ai 13.2 con il 40% nel mese di dicembre, ad un ancor più eccezionale 16.1 con il 47.8% nel mese di gennaio. Il suo career high di 31 punti nella vittoria per 113-105 sui Denver Nuggets, è arrivato con un 11/17 dal campo indice di una maturazione cestistica in costante evoluzione. Non a caso, il bambino prodigio è stato insignito del premio di “Rookie of the month” sia per il mese di novembre che per quello di dicembre, e con assoluta certezza, si prospetta il terno sulla ruota di Minneapolis.

Colui che avrebbe dovuto contendere lo scettro di miglior rookie dell’anno alla stellina dei T-Wolves, era Jabari Parker da Duke University, scelto con la chiamata numero 2 dai Milwaukee Bucks e da molti indicato come il giocatore più pronto a compiere il salto tra i pro dopo il suo unico anno dalle parti di Durham. Parker è stato però eliminato dai giochi da un bruttissimo infortunio al legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro nella gara contro i Phoenix Suns dello scorso 16 dicembre che ha posto fine troppo presto alla sua prima stagione nella NBA. Al momento dell’inatteso, quanto doloroso (in tutti i sensi) ko, la giovane ala dei Bucks viaggiava a 12,3 punti e 5,5 rimbalzi di media a partita, mostrando però segni di una crescita costante ed un feeling già sviluppatissimo con l’altra colonna della Milwaukeee del futuro, Giannis Antetokounmpo.

Anche la terza scelta assoluta, il camerunense Joel Embiid, è rimasto (e rimarrà) ai box per tutta la stagione, ma questo i Sixers già lo sapevano al momento della loro scelta. Embiid è stato infatti operato lo scorso giugno, pochi giorni prima del draft, al piede destro a seguito di un infortunio subito in allenamento con la maglia di Kansas. L’operazione, che ha comportato l’inserimento di due viti nell’osso scafoide, aveva destato la preoccupazione di più di un GM ma non quella di Sam Hinkie, che può permettersi ancora un paio di stagioni di “tanking” ad oltranza prima di iniziare a fare sul serio con la sua “banda” di giovani ragazzi terribili nella “Città dell’Amore fraterno”.

E la conferma che quella del 2014, fino a questo momento, sia stata una “cucciolata” particolarmente sfortunata (per non dire maledetta) arriva anche dalla serie tragi-comica di infortuni occorsi a (quasi) tutte le altre prime scelte: la numero 4 Aaron Gordon ha disputato la miseria di 12 partite prima di doversi fermare per un infortunio al piede, la numero 6 Marcus Smart ha iniziato la propria stagione solo a fine novembre, mentre quella della numero 7, Julius Randle, è durata giusto il tempo di un battito di ciglia: 22 minuti sul parquet prima della rottura del piede che lo costringerà a guardare i propri compagni dalla panchina fino al termine della stagione (visti questi Lakers, forse...).

Ad approfittare di questa situazione di indicibile iella sono stati, dunque, una serie di giovani promesse su cui in pochi avrebbero scommesso ad inizio stagione, ma che stanno sfruttando (e che sfrutteranno) la poca concorrenza tra i pari età per mettersi in luce e cercare di strappare minuti importanti e contratti ad enne zeri per il futuro. Come direbbero i latini: “Mors tua, vita mea”.
Tra questi, citiamo: Nerlens Noel (che a dire il vero ha già scontato il proprio personalissimo calvario nella passata stagione saltandola a piè pari), Nikola Mirotic, Elfrid Payton, K.J. McDaniels, Jusuf Nurkic, Shabazz Napier e Zach Lavine, de quali parleremo nelle prossime puntate, infortuni permettendo…