Pat Ewing e la nuova avventura da coach, a Georgetown
Quando hai lasciato il segno in una franchigia prima o poi ritorni a casa, come in un sogno, come in un film. Quando la notizia è apparsa sugli organi di stampa è sembrata la classica frase ad effetto che andava a compensare l'ennesima annata non certo terminata coi fasti del torneo Ncaa. Pat Ewing torna a Georgetown University, stavolta come allenatore, per provare a plasmare menti oltre che atleti, al termine di una carriera che lo ha visto sempre protagonista, nel bene e nel male.
Quando solo un anno fa aveva paventato l'ipotesi, neanche poi così peregrina, di tornare a New York per allenare i Knicks, qualche eco non certo positiva aveva accompagnato l'idea del giocatore che con la canotta arancioblu aveva comunque fatto bene. Adesso invece, dopo le annate a Orlando e Charlotte da assistente allenatore ecco quindi che qualcuno crede in lui e decide di giocare la sua carta. Non a caso Georgetown University chiamò quello che sarebbe diventato uno dei suoi giocatori più rappresentativi quasi per caso, dopo che il ragazzo giamaicano di nascita e americano d'adozione aveva quasi accettato l'offerta di North Carolina, sfumata per problematiche razziali legate al Ku Klux Clan.
Per un giocatore la cui carriera, almeno quella Nba, è sempre rimasta al limite di un tiro spezzatosi sul ferro, di tanti arrivi mancati, di tante storie da Cinderella o da underdog che poi non han trovato il loro coronamento, sarebbe quindi da aspettarsi un atteggiamento da chi ha fame di vittorie. Eppure la sua stessa carriera, in cui non sono mancate le canoniche “buffonate” (sul campo e fuori, come magari il finto strattonamento alle olimpiadi di Los Angeles da parte di MJ) e le giocate fuori dagli schemi, han sempre parlato come di un giocatore a tratti dominante, capace di trascinare la squadra e farle fare un salto di qualità, ed è questa una dote che ciascun allenatore dovrebbe avere.
Del resto, pallottoliere alla mano, nel suo armadio di trofei assoluti ci si trovano due ori olimpici, entrambi insieme al suo compagno-amico-nemico-nemesi Michael Jordan, quello di Los Angeles 1984 col sergente di ferro Bob Knight al timone, nonché quello con la maglia del Dream Team a Barcellona. Non a caso la sua prima vera panchina da assistente di ruolo è quella degli Hornets.
Di sicuro, per uno che non ha mai avuto paura di esporsi, con stampa, pubblico e tifosi, nonché compagni di squadra, il ruolo di coach non sarà semplice. Smorzare i toni e soprattutto formare uomini, lontani qualche generazione dalla sua esperienza, non sarà facile, ma solo una mente fine come quella di Pat Ewing può riuscirci, perché dopo tutto, migliorare anno dopo anno, rialzarsi dopo una carriera fatta di infortuni ed essere parte di un gruppo che cresce giorno sono le doti imprescindibili di un qualsiasi allenatore. Ed è questo che gli Hoyas si aspettano. Un’avventura che di sicuro Ewing accetterà senza timore alcuno e che potrebbe portarlo, magari in un futuro prossimo, a fare il salto in Nba come coach Bradley o Hoiberg per citare alcuni, magari proprio su quella panchina dei Knicks in cui nessuno sembra poter riuscire ad imporsi davvero, in cui quello che Pat faceva sul campo sempre mancare. Sono solo frasi al vento, ma si sa che le torri più alte sono sempre quelle in cui le notizie dei corvi sono portate prima.