Kyle Korver, il cecchino di Lakewood ricomincia da... tre (punti!)

“Uno, due, tre: stella!”
5 marzo 2014. Dopo 127 partite consecutive, s’interrompe la striscia di gare con almeno una tripla a bersaglio da parte di Kyle Elliot Kover, la più lunga nella storia della NBA. Al secondo posto, fermo a quota 89 (38 in meno!), Dana Barros osserva, oramai in pantofole, con un pizzico di compiacimento. Improvvisamente, il mondo NBA sembra essersi accorto, per la prima volta, di avere davanti agli occhi qualcosa di veramente speciale, di diverso, un qualcosa che fino ad ora era passato quasi inosservato, anche a molti addetti ai lavori. D’altronde come direbbe l’Avv. Buffa: "Se fosse tutto chiaro fin dall'inizio, Van Gogh, almeno un quadro lo avrebbe venduto..”.
Ed in effetti quella di Kyle Korver è stata una carriera piuttosto particolare. Dopo 4 anni di canestri, record, riconoscimenti e cuori infranti presso l’Università di Creighton, il nativo di Lakewood, California, viene scelto con la chiamata numero 51 dai New Jersey Nets. Il draft del 2003, uno dei più ricchi di talento della storia del gioco, ha già sparato le sue cartucce migliori (ma anche quelle peggiori..) quando Rod Thorn, GM della squadra vice campione del mondo, pronuncia, quasi per caso, il nome dell’ex Bluejays. La sua esperienza nel Garden State dura però giusto il tempo di un brindisi e qualche fugace stretta di mano, prima che i suoi talenti vengano inopinatamente spediti a Philadelphia, per qualche migliaio di dollari con cui pagarsi la summer league.
Uno. Nella città dell’”Amore Fraterno” ad attendere il giovane ragazzo bianco, figlio di un pastore dell’Iowa e di una ex cestista dell’high school (in grado di segnare anche 74 punti in una sola partita) non c’è una città intera in stato di fibrillazione costante per l’arrivo del “Prescelto”. L’era Larry Brown è ormai alle spalle, in panchina siede Randy Ayers, mentre sul parquet Allen Iverson, la stella (forse) più luccicante ed ammirata della Lega, entra ed esce dalla lista degli infortunati. La leggenda vuole che dopo il primo allenamento, coach Ayers abbia avvicinato il giovane Kyle comunicandogli che non lo avrebbe fatto giocare vicino all’arco dei 3 punti, ma che avrebbe dovuto prendersi più penetrazioni e tiri dalla media distanza per farsi un nome nella NBA. I Sixers chiudono la stagione con un record 33 vinte e 49 perse mancando i playoffs per la prima volta dal profetico avvento della “Risposta”. Non credo sia difficile individuare il colpevole di un simile disastro. Per sua fortuna l’approdo sul “pino” di Jim O’Brien rende giustizia alle sue doti di finissimo tiratore, e Korver stabilisce il record di franchigia per numero di triple segnate in singola stagione: 226 con una percentuale del 40.5% di realizzazione.
Due. Dopo 5 stagioni in Pennsylvania, il GM Ed Stefanski decide che è giunto il momento di cedere il californiano, reduce da un’annata travagliata caratterizzata da qualche infortunio di troppo, per provare a liberare spazio salariale. Nonostante il veto di Maurice Cheeks, che nel frattempo, di quei Sixers, è diventato capo-allenatore, Stefanski spedisce Korver nello Utah, terra di Mormoni e tana di Jerry Sloan e dei suoi Jazz, in cambio di Gordan Giriček ed una prima scelta al draft. Sulle rive del Grande Lago Salato, Kyle fatica a ritagliarsi un ruolo da protagonista, nonostante nel corso della sua terza stagione all’ombra della EnergySolutions Arena, scriva qualcosa come 53.6% di media da dietro l’arco dei 7.25m, semplicemente il record ogni epoca nella storia della NBA.
Tre. L’arrivo di Gordon Hayward intasa ulteriormente le rotazioni dei Jazz e, libero da vincoli contrattuali, il non più giovanissimo Korver decide di firmare un contratto con i Chicago Bulls, con i quali riesce a raggiungere le finali di Conference, cadendo però sotto i colpi dei “Big Three” di Miami prima edizione. Un po’ come per il “nostro” Marco Belinelli, i rimpianti (anche presidenziali), per aver perso un realizzatore del calibro dell’ex Jayhawks non sono ancora stati superati, eppure anche l’esperienza nella Windy City, si chiude anzi tempo come un mezzo fallimento.
Stella. L’approdo agli Hawks passa, ancora una volta, non certo attraverso la porta principale della Philips Arena. I Bulls, proprio come i Nets 10 anni prima, lo scambiano per cash considerations e per il cavallo di ritorno Kirk Hinrich: sostanzialmente per nulla (non ce ne voglia il caro e vecchio Captain Kirk). La prima stagione nella Big Peach è già più che positiva: Korver trova minuti, una maglia da titolare, punti (di nuovo in doppia cifra di media dal 2008) ma, soprattutto, i primi veri attestati di stima. “E’ cresciuto tanto. In passato era solito aspettare la palla nell’angolo, mentre ora si muove molto di più sul parquet, è un passatore davvero sottostimato. Il suo intero gioco è salito ad un altro livello”, si vocifera nelle stanze dei bottoni della Lega.
Ma è sotto la guida di Mike Budenholzer che Korver compie il definitivo salto di qualità trasformandosi in una vera e propria arma di distruzione di massa. L’ex assistente dei San Antonio Spurs, infatti, si dimostra l’unico allenatore in grado di conciliare ed integrare il gioco dell’ex Bluejays all’interno di un sistema che non si basi esclusivamente sul pick-and-roll, vero e proprio tallone d’Achille del cecchino di Lakewood, ma piuttosto su di un concetto di “spacing” di popovichana memoria. Korver adora muoversi sul parquet alla ricerca del tiro migliore a disposizione, ed è esattamente il tipo di pallacanestro scelto e praticato dal suo nuovo mentore. Non che da fermo le cose vadano poi tanto peggio (anzi..), se è vero che secondo i dati SportVU, il 52.5% con cui viaggia in questo primo scorcio di stagione, sale addirittura al mortifero 58% nei panni dello spot-up shooter.
Non è un caso che in estate all’alba della sua 33esima primavera Kyle abbia ricevuto la sua prima convocazione tra le fila del Dream Team di Coach K e che gli Hawks abbiano il miglior record di tutta la eastern conference con 31 successi a fronte di 8 misere sconfitte.
E’ quindi chiaro che nello sport, un po’ come anche nella vita, non è forte chi non cade, ma chi cadendo ha comunque la forza di rialzarsi. E per parafrasare le parole del grande Massimo Troisi: “A volte piuttosto che ricominciare da zero, bisogna farlo partendo da.. tre (meglio se punti)!".