Justin Bieber, pop-corn e Lucy Liu, la "dura" vita delle matricole NBA

“Chi ben comincia, finisce male. Chi comincia male, finisce peggio”. La Legge di Pudder, derivazione della celeberrima: “Legge di Murphy” (“Se qualcosa può andar male, andrà male”), perfezionata dall'umorista e scrittore statunitense Arthur Bloch, offre pochi appigli perfino ai più inguaribili ottimisti. Per nostra fortuna, per quanto condivisa e condivisibile, la Legge di Pudder, non può essere assunta come un dogma, altrimenti, converrete, qualsiasi impresa sarebbe irrimediabilmente destinata a fallire..
Eppure, catastrofismo a parte, in qualche modo si deve pure cominciare. In alcune civiltà, specialmente in Africa, l’inizio o iniziazione, avviene attraverso una serie di “riti di passaggio” cui necessariamente bisogna sottoporsi per poter essere ammessi a far parte della società adulta, godendo dei diritti connessi a tale status.
Niente di così diverso da quanto accade nella NBA, una sorta di grande famiglia allargata, simile ad una confraternita, e, come tale, soggetta a proprie regole non scritte ma condivise. La connotazione di tali “riti d’iniziazione”, ovviamente assume, il carattere del gioco e dello scherzo, finalizzato ad accelerare (forzatamente) l’ingresso nel mondo degli “adulti” delle matricole, o “rookies”, per dirla all’americana.
Non importa quanto tu possa essere famoso, alto, grosso, imponente, o spaventoso: tutti, anonime meteore o futuri Hall of Famers, devono affrontare l’anno da rookie. La storia è piena di questi simpatici episodi più o meno famosi e più o meno divertenti per gli iniziati.
Scottie Pippen, ad esempio, nel 1987, rookie, presso i Chicago Bulls, fu l’oggetto di “particolari attenzioni” da parte di Charles Oakley, uno che, a dire il vero, “particolari attenzioni” le riservava un po’ a tutti, anche sul parquet. Ricky Rubio, nel 2011, girò per i campi di mezza NBA con uno zainetto di Justin Bieber sulle spalle, ed anche Paul George ad Indiana pagò il medesimo dazio l’anno precedente.
Ricorderà certamente il suo anno da matricola anche Jason Thompson, che nel parcheggio dell’allora Arco Arena, vide la propria Cadillac Escalade (si, quella ai tempi era la sua modesta utilitaria), completamente riempita di pop-corn per essersi dimenticato per ben 3 giorni consecutivi di portare bagels caldi al campo di allenamento. La mente dello scherzo pare sia stato Spencer Hawes, anche se le indagini non sono mai state concluse. (Qui per vedere il video)
L’Oscar per il miglior scherzo ai danni di un rookie va però, senza ombra di dubbio, a Vlade Divac, mente geniale e svelta dentro e fuori il parquet. La vittima, il povero Tony Bobbitt (visto anche in Italia con la maglia di Avellino), modesto portatore d’acqua al ricco mulino dei Los Angeles Lakers dei primi anni 2000. Durante una partita allo Staples Center, come al solito traboccante in ogni ordine di posto di personalità di spicco dello show-business, Bobbit, confessò a Valde Divac e a Devean George, seduti in panchina insieme a lui, di essere quasi certo che Lucy Liu (si, quella Lucy Liu..) lo stesse insistentemente guardando con aria sognante ed ammiccante. Ora, tralasciando considerazioni azzardate circa le reali chances di Bobbit di fare colpo sulla stupenda attrice taiwanese, non possiamo fare altro che complimentarci con Marlboro man per la trovata. Dopo avere istruito un ball-boy, Divac consegnò a Bobbit un falso numero di telefono, assicurandogli che si trattasse di quello dell’Angelo dagli occhi a mandorla di Charlie. Beh, credetemi, non lo era..
Si trattava piuttosto di un secondo numero appartenente al centro di Prijepolje, utilizzato per circa due settimane per ingannare il povero malcapitato, convinto, dopo un corteggiamento serrato, di essersi guadagnato anche un primo appuntamento, al quale, la bella Lucy, totalmente ignara, non si presentò mai.. In questo caso, lo scherzo si è prolungato certamente più della carriera stessa in NBA del povero Bobbit, che può vantare appena due apparizioni in maglia giallo-viola.
Per quanto ricchi, famosi, alti, fisicati, affascinanti ed ammirati, i giocatori NBA restano comuni esseri umani, e non c’è niente come il vederli camminare la tra la folla con uno zainetto rosa da Principesa sulle spalle per ricordarcelo.