Road to Rookie of the year - puntata 2: Jonathan Isaac e Luke Kennard
Il draft non è una scienza esatta e la Summer League non sempre il banco di prova più attendibile, ma l'analisi di quelli che sono stati i prospetti che più attesi e che han confermato o smentito le previsioni può già essere fatta, sempre col beneficio d'inventario. La seconda tappa del nostro percorso della caccia al rookie of the year vede come protagonisti la pescata #6 Jonathan Isaac, finito a Orlando, e uno di quelli che han scavalcato qualche gerarchia nel corso dei tornei della calda estate, ossia il #12 Luke Kennard, dei Detroit Pistons.
In molti erano ad attendersi Isaac con la valigia pronta verso Boston, in quanto le sue dinamiche di gioco sono davvero congeniali al gioco di Brade Stevens e di sicuro uno come lui poteva far comodo. Probabilmente i piani per la trade che porta a Hayward, probabilmente comunque l’incertezza sulla scelta di uno che in difesa non è che desse troppe garanzie, hanno spinto il prodotto da Florida State University fino alla numero 6 del draft, con la destinazione Orlando tutta da scoprire.
Se la squadra è comunque impostata in una ricerca di giovani di talento ancora da svezzare, Isaac ha fino ad ora recitato fino ad ora un ruolo da leader offensivo non indifferente. Gioco con i piedi intensi, gran bella determinazione ed esplosività nelle gambe per poter andare a chiudere anche di potenza. La capacità di aiutare sugli scivolamenti e la determinazione nel buttarsi su ogni palla vagante, ne fanno un giocatore futuribile, di quelli che aiutano davvero una squadra a crescere e Orlando intorno a lui e Simmons, l’altro arrivato dal mercato, può disporre di una batteria di numeri tre che garantiscono forza e leadership, importante se si vuole risalire dal basso.
Se ci si aspettava invece che Kennard sarebbe stato il classico prodotto di Duke più funzionale al basket collegiale che a quello del piano di sopra, di certo si è rimasto sbalorditi di fronte a quello che il ragazzo di Detroit ha saputo fare. La sua statura viene portata a spasso con grande velocità, in difesa appare già uno specialista di quelli che sono duri a morire. Veniva da una stagione tra luci e ombre, un po’ come i suoi Blue Devils nell’ultimo anno, ma l’ultimo della cantera di coach K dimostra di poter essere uno di quei ragazzi tosti che sanno fare tante piccole cose sul campo.
Una caratteristica che poi lo ha accompagnato, specie nella Summer League di Orlando, dove ha avuto più partite per giocare e farsi notare, è la capacità di entrare in striscia al tiro. Memorabile le sue conclusioni contro Dallas nella finale, con un supplementare in cui fa tutto da solo, mette due bolidi anche da centrocampo e si prende la squadra letteralmente sul groppone dopo aver volato e non poco anche a rimbalzo. Se riuscirà a stabilizzarsi su cifre da doppia doppia, se non verrà chiamato a essere l’unico motore dell’attacco, con un tipo così coach Van Gundy può costruire una squadra che abbia ritmo ed intensità, quelle doti che sono valse, nel corso della sua carriera, le più vive emozioni personali.