Un italiano di nome Kobe
Esce oggi nelle librerie ‘Un italiano di nome Kobe’ (Absolutely Free Editore), il libro scritto dal giornalista del Corriere dello Sport Andrea Barocci su Kobe Bryant e, in particolare, sul suo periodo in Italia, quando era un bambino ed adolescente, con prefazione di Ettore Messina. Abbiamo intervistato l’autore, per parlarci di questa opera.
Dove è nata l’idea di scrivere un libro su Kobe Bryant?
“L’idea è nata aprendo un cassetto e trovando una fotografia in bianco e nero, che avevo scattato 30 anni fa, nel gennaio 1985, quando ero stato inviato dal Corriere dello Sport a Rieti per intervistare Joe Bryant. Questa immagine, inserita nel libro, ritrae Joe Bryant con Dan Gay, suo compagno di squadra. Mi sono venuti tanti ricordi, tra questi l’immagine del piccolo Kobe che aveva sei anni, è entrato saltellando nella sede della Sebastiani ed ha iniziato a ballare la break dance per riscaldarsi. Da qua, mi sono chiesto: quando ha influito la vita, la cultura ed il basket giocato in Italia, nel prosieguo della carriera? E allora mi sono messo a fare ricerche, con i racconti di amici, compagni di scuola e di squadra, ed a scrivere il libro”.
Di libri su Kobe ce ne sono tanti. In cosa si differenzia rispetto agli altri?
“In questo libro, il lettore troverà tanti episodi e curiosità che nessuno ha mai pubblicato o raccontato. Ad esempio, la curiosa avventura per un autografo richiesto da un bambino di sei anni, quando lui era ancora un ragazzino della Reggiana. Oppure l’incontro in autogrill con Clarence Kea e quando ballò sul palco in un concerto di un famoso rapper americano. Ho parlato anche con la fidanzatina di Kobe a Reggio Emilia, quando erano dodicenni. Lei non ha mai voluto parlare con nessuno di questa storia, per rispetto di Bryant, però le ho spiegato il senso del libro, cioè un omaggio al Kobe italiano, e lei è stata molto gentile ed ha parlato di quel periodo”.
Dunque, si parla solo del Kobe Bryant italiano?
“Ci sono anche tante altre cose, legate all’Italia. Racconto un episodio avvenuto la prima volta che Kobe è tornato in Italia, nel 1997 a Reggio Emilia, oppure quanto ha influito la conoscenza di personaggi da lui conosciuti nel nostro Paese, come Oscar Schmidt e Mike D’Antoni. Quest’ultimo lui lo venerava quando giocava a Milano, mentre il rapporto con Mike allenatore si è incrinato quando era ai Lakers. Poi cosa è veramente accaduto nel famoso tentativo di Claudio Sabatini di portare Kobe alla Virtus Bologna, durante il lockout NBA”.
Che idea ti è rimasta di Kobe Bryant, dopo aver scritto questo libro?
“Mi si sono chiarite molto le idee. Noi abbiamo una concezione di Kobe, come uno che pensa solo al gioco e sicuramente è vero, però nella sua infanzia ed adolescenza era un bambino da un lato molto timido, dall’altro molto determinato ed un’idea già chiarissima di quello che avrebbe voluto fare da grande: giocare nell’NBA. Inoltre, la cultura italiana gli ha dato una mentalità diversa, come ad esempio nel vestire o nella maniera di intendere il lavoro, dopo un incontro con Giorgio Armani. Tante sfaccettature di un personaggio straordinario. Dopo Jordan, è il più grande di tutti”.