Rajon Rondo, lo scherzo della natura e l'arte del playmaking
Lousiville Hospital, 22 febbraio 1986. In sala parto c’è la signora Amber che sta mettendo al mondo Rajon e quando risuona il suo primo vagito l’ostetrica esclama: “Le sue mani…sono enormi!”
Questo è il benvenuto nel mondo reale a un personaggio sui generis, per certi versi irreale e sicuramente non replicabile in alcun modo.
Rondo è veramente uno scherzo della natura, perché le famose mani decantate dall’ostetrica sono una parte del suo incredibile fisico, perché sebbene siano lunghe 24 cm. e larghe 25,4 cm. sono anche la terminazione di un’apertura di braccia di 2,10 metri, ovvero paragonabile quella di un giocatore di 2.05 m. E’ in grado di lanciare per ottanta yards come se nulla fosse ed è stato capace di battere il trentatreenne assistente general manager Ryan McDonough in una corsa sulle quaranta yard…solo che lui aveva un copertone legato in vita.
Il papà di Rondo è scomparso dal radar familiare quando aveva sei anni “Per questo non mi fido di nessuno” – ha detto Rajon-, mentre la mamma non è mai stata in grado di gestirlo a livello caratteriale ed emotivo a causa di una debolezza cronica nel farsi rispettare. Questo è valso al piccolo Rajon un viaggio al “Home of Innocents”, ovvero una specie di centro per bambini con problemi di comportamenti e reazioni. Quando il rettore del centro ha voluto incontrare lui e la mamma, il ragazzo era spaventatissimo dalla possibilità di dover rimanere lì dentro a lungo e aggredì verbalmente il distinto signore.
“Non sono esattamente un tipo socievole –ha proseguito il giocatore- e in campo non vado per farmi degli amici ma per vincere.” Quando venne scelto dai Boston Celtics con la 21° scelta fu invitato a dimostrarsi ben disposto verso la comunità e mettersi in mostra per qualche buona opera fuori dal campo. La richiesta non andò a buon fine visto che la presenza fisica agli eventi di beneficenza era obbligatoria, mentre il coinvolgimento morale non era proprio ai massimi livelli. Al primo allenamento con i Celtics nei drills di pick and roll Rivers gl'intimò di attaccare e girare l’angolo con aggressività. Il risultato fu strabiliante e per otto volte splittò il pick and roll andando a depositare a canestro. La reazione dei compagni a fine allenamento fu: “21st pick what?”.
Non è mai stato un giocatore facile da allenare e lo sanno bene sia Doug Bibby che Doc Rivers. Il cugino di Mike, coach a Kentucky, ha avuto diversi problemi nel rapportarsi con lui perché spesso dalla panchina chiamava delle difese che lui interpretava a suo modo, mandando alle ortiche i piani tattici: “Ho guardato e riguardato mille volte il tape, dobbiamo fare così!” disse Bibby una volta. “Io sono dannatamente in campo ogni sera, mentre tu sei lì a guardare. Cosa vuoi capire?” fu la risposta del giocatore. Il problema è che lo stesso Bibby a posteriori ha detto che a volte aveva davvero ragione Rajon.
L’approccio di Rivers fu decisamente più trasversale dopo che ebbe la dimostrazione delle sua capacità durante il primo allenamento. Fu Doc a dirgli come gestire i suoi passaggi quando giocava al fianco di Garnett, Allen e Pierce. “Tutti i grandi giocatori vogliono ricevere il pallone, poi magari qualche volta ti torna anche indietro -disse Glenn-, ma se così fai nel quarto periodo sono tutti convolti e puoi comandare con quello che ritieni più giusto senza scontentare nessuno”. Poi ovviamente Rajon è in grado anche di penetrare, fintare l’appoggio e a un centimetro da canestro sparare un assist dietro la schiena per Ray Allen in angolo, cosa che difficilmente il pur onesto Doc avrebbe potuto fare.
Tante delle sue giocate sono rischiose, ma lui stesso si è definito un “risky player” che vuole solo vincere. Oltre al rischio c’è anche tanta intelligenza perché in grado di vedere cose che gli altri neanche penserebbero sia in campo che fuori. Un giorno ha fatto irruzione a sorpresa nella Buke High School di Dorchester durante una lezione di algebra e ha tenuto un discorso sul comportamento, poi quando il professore lo ha invitato a risolvere l’equazione alla lavagna, lui lo ha fatto in un modo mai visto prima come ammesso dallo stesso docente. E’ un genio e come tutte le menti di alto livello ha delle usanze e dei vizi da cui non può prescindere. Ha una routine tutta sua e il giorno di ogni partita si fa cinque docce, di cui l’ultima esattamente 45 minuti prima di scendere in campo perché sostiene che sotto l'acqua scrosciante le idee sono più chiare e la mente è rilassata. Beve cinque bottigliette d’acqua prima di arrivare all’arena, non avendo poi bisogno di bicchieri di Gatorade durante il match e tiene sempre un tubetto di Carmex nelle calze per passarselo sulle labbra e tenerle sempre idratate. Ha un quantitativo di grasso corporeo medio in carriera del 3.5% sebbene si mangi interi cubetti di burro spalmati sul pane.
Con la sua taglia ha avuto partite da 18 rimbalzi, riusciva a mettere in scena 11 assists di media senza essere una credibile preoccupazione delle difese con il suo jumper e ogni volta che tirava pensava sempre che avrebbe potuto passarla a qualcuno che avrebbe tirato meglio e più libero. Tutti quelli che sono cresciuti con lui hanno idolatrato Jordan e vestivano esattamente come lui, mentre Rajon era già un separato rispetto alla massa e non voleva somigliare a nessuno, ma solo vincere. Il fatto che Boston lo abbia scelto alla 21 e messo dietro a Sebastian Telfair (playmaker dalle grandi aspettative prontamente disattese) avrebbe funzionato da propellente di motivazioni per tutti, non per lui che ha dimostrato che l’unica cosa importante nel basket è vincere e lui lo ha già fatto con una delle versioni più mistiche e romantiche dei Boston Celtics.
Ora ha fatto le valigie ed è andato a corte di Dirk nel Texas per provare a rincorrere nuovamente il titolo con il suo estro d’incredibile concretezza.
Rajon è geniale e come tale risulta controverso, particolare, sociopatico e unico, ma quando è sui 28 metri rimane l’arte della pallacanestro applicata al ruolo di playmaking. E se lui non voleva somigliare a nessuno, è certo che nessuno somiglierà mai a lui.
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