Bobby Phills: una carriera stroncata, ma un'amicizia che non muore mai
Bobby Ray Phills II (2 dicembre 1969, Baton Rouge) è ricordato più che per le gesta in campo per il tragico modo con cui ha lasciato questo mondo. Il destino è già beffardo per natura, se poi lo si sfida con costanza andando in macchina ad alte velocità, può succedere che la volta in cui corri nel momento sbagliato, ti capiti di fare un danno bello grosso giocandoti la vita proprio davanti al tuo migliore amico e compagno di tante avventure.
E’ stato uno dei quattro giocatori NBA che sono deceduti a causa di un incidente stradale. Gli altri sono Drazen Petrovic nel 1993, Terry Furlow degli Utah Jazz nel 1980 e Nick Vanos dei Detroit Pistons nel 1987 (a causa di un aereo precipitato).
In quella stagione non fu il primo incidente serio occorso a un giocatore degli Hornets, perché la guardia Eldrige Recasener si ruppe la spalla in una collisione che lo vedeva sul sedile del passeggero con Derrick Coleman come conducente.
Il 12 gennaio del 2000 è una normale giornata per un giocatore con il classico allenamento del mattino, il ritorno a casa e un eventuale shootaround nella seconda parte della giornata, prima della partita che avrebbe visto la squadra battagliare con i Chicago Bulls. Bobby Phills e David Wesley lasciano lo Charlotte Coliseum per tornare a casa.
Il rapporto tra i due è qualcosa di ben più grande rispetto a quello di semplici compagni di squadra. Passavano molto tempo insieme fuori dal campo, erano soliti godersi la vita nel modo più genuino possibile, andando in vacanza insieme con le rispettive famiglie e prendendosi in giro come ragazzi, come quando Bobby diceva a David che avrebbe potuto essere un po’ più flessibile coi soldi e non tenerseli lì a far la muffa. Nei giorni di trasferta facevano sempre colazione insieme allo stesso tavolo e sorridevano alla vita da professionisti che aveva fatto avverare il loro sogno di giocare nell’NBA e guadagnare molti soldi.
Phills esordì nella lega con i Cleveland Cavaliers nel 1992 ed era il quindicesimo giocatore a roster, infatti il coach andò da lui per dirgli che avendo già 13 contratti garantiti non se ne sarebbero potuti permettere un altro. Phills rispose: “Coach, io resto qui. Lavorerò per migliorare e mi guadagnerò il mio posto”, rinunciando a quello che sembrava un accordo fatto con la Scavolini Pesaro.
Così fece perché in quell’anno anche grazie a diversi infortuni dei compagni confermò il suo decadale e iniziò una carriera NBA di nove anni. Nel 1997 diventò free agent e firmò un settennale da 33 milioni di dollari con gli Charlotte Hornets. All’epoca il coach era Paul Silas, appena incaricato proprio su consiglio della coppia Wesley-Phills che si avvicinò a lui dicendo quello che ogni uomo vorrebbe sentirsi dire: “Coach, vogliamo che finchè ci saremo noi, ci sia anche tu alla guida di questa squadra, perché sei una bellissima persona”.
Alla fine dell’allenamento del 12 gennaio il “rompete le righe” del coach voleva dire un paio d’ore di libertà con la famiglia. Phills vola con il Porsche, imbocca la Tyvola Road di Charlotte per andare a casa, seguito dall'amico che lo tallona. Si viaggia molto forte, oltre i 150 kmh all’ora, ma ad un certo punto Bobby perde il controllo della sua vettura e finisce contro un’altra che sopraggiungeva. Lo schianto è violentissimo e Phills muore sul colpo, davanti agli occhi dell’amico che si dispera di fianco alla sua macchina. E’ un momento tragico per l’intera NBA e la partita della sera con i Bulls viene ovviamente spostata (sebbene il suo contratto sia stato scaricato solo due anni dopo dalla franchigia al suo naturale termine, gravando sul cap).
La moglie di Wesley dovette dare la notizia dell’incidente alla moglie Kendall che quando arrivò sul luogo dell’accaduto aveva già perso il marito. L’incredibile forza dell’amicizia vera e genuina l’ha portata a non dare mai nemmeno adito a Wesley di ritenerlo responsabile dell’accaduto “E’ stata l’unica che mi ha sempre guardato negli occhi senza mai farmi sentire colpevole -ha detto Wesley- c’era gente che mi conosceva solo per quel fatto o che addirittura mi chiamava Bobby Phills”.
Per qualche momento sia David che la società sono stati sul punto di dividersi per far si che il cambiare ambiente potesse fargli bene a livello personale, ma quando ci ha pensato ha voluto espressamente rimanere, essendo sicuro che questa sarebbe stata la volontà dell'amico.
Per la moglie è stato un dolore devastante che ha trovato rifugio nei propri figli Trey e Kerstie sfociando in ancora più forze profuse all’interno della “Phills educational awareness foundation”, istituita proprio dal marito nel 1996. La fondazione con lo sforzo della moglie e la grande risonanza del tragico evento, ha guadagnato nei successivi due anni 250.000 dollari rendendo il suo fondatore orgoglioso da lassù. Il comprensibile dolore è stato tale che i vestiti di Bobby sono rimasti nell'armadio per nove anni, così come la targa sulla macchina di famiglia con scritto “missn 13” per ricordarne il numero di maglia.
Coach Paul Silas durante il funerale ha pronunciato le parole più azzeccate per descrivere queste situazioni: “Quando muore qualcuno si dice sempre che fosse una brava persona anche se non lo era, ma per Bobby è diverso. Uno così passa poche volte nella vita.”
Era una persona che metteva sempre l’interesse del gruppo prima di quello personale, infatti più di una volta andò dal coach e comprendendo che c’erano molti suoi compagni che volevano essere titolari, si offrì di partire dalla panchina e ridurre il proprio minutaggio. Era un giocatore molto sensibile e attento allo stato emotivo di chi lo circondava. Il 18 dicembre del 1999 giocò da quattro tattico per tutta la partita conducendo un gruppo di panchinari come Baron Davis, Eddie Robinson, Ricky Davis e Brad Miller a un’incredibile vittoria contro i Miami Heat, grazie ad un’asfissiante difesa di squadra. In questo aspetto del gioco Bobby eccelleva e a testimonianza di ciò ci furono le parole di Michael Jordan che lo definì uno dei migliori difensori che avesse mai incontrato in carriera.
Non sapeva fare solo quello, infatti sempre nel 1999 rientrò da un infortunio e in una partita contro i Washington Wizards segnò il canestro dai quattro metri a 0.2” dalla fine che sancì la vittoria. Ricadendo dopo il tiro finì a gambe all’aria e quando vide che la palla era entrata cominciò a muovere braccia e gambe come fa un neonato nella culla.
Ma la cosa che conferma al 100% quanto il destino sia beffardo, ma anche incredibilmente genuino è ciò che successe il 12 gennaio 2001.
Con 9.5” da giocare e i Bulls in vantaggio per 85-83 coach Silas chiama timeout per organizzare l’ultimo tiro. Il designato è David Wesley che esce dai blocchi, prende e tira da tre punti infilando la tripla del sorpasso. Nel ricadere viene colpito e si trova anch’egli a gambe all’aria. Quando la palla finisce nel canestro le sue gambe e braccia si agitano come due anni prima quando la stessa cosa fu fatta da Phills. “E’ stato incredibile –ha detto Silas- sembrava che Bobby rivivesse nel corpo di David”.
Bobby Phills morì un anno esatto prima che la sua anima si ripresentasse nel corpo del suo migliore amico David, autore del canestro decisivo proprio come lui ed esultante alla stessa maniera.
“Once brothers, forever brothers”.
Qui il video della celebrazione fatta dagli Hornets con il ritiro della maglia.
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