NBA Finals: nella finale di James e Curry, è Iguodala la stella delle stelle
Ogni tanto si pensa che i giocatori NBA siano degli automi che devono rendere al massimo venenedo valutati in base al contratto che percepiscono. Automaticamente chi prende dieci milioni all'anno dev'essere in grado di metterne 20 indipendentemente dal contesto di squadra.
Ci sono anche giocatori a cui non interessa segnare per forza, ma che hanno nel proprio DNA la capacità di fare tante cose sul campo da basket, siano queste giocare da point forward, difendere contro il miglior attaccante avversario o creare opportunità per gli altri, facendo 20 punti solo nel caso servano davvero. Manu Ginobili è la dimostrazione vivente che i punti non vanno contati, ma pesati e un discorso simile è applicabile ad Andrè Iguodala. Ovviamente Iggy non ha il talento e la predisposizione personale dell'argentino nel guidare da solo una squadra in attacco e i Philadelphia 76ers lo hanno imparato sulla loro pelle, vedendoci lungo nello scegliere un giocatore all-around, ma investendolo di troppe reponsabilità che non sarebbe stato in grado di sopportare.
A qualche anno di distanza, con 758 partenze in quintetto consecutive e un pedigree di comprimario di lusso all'interno della NBA, arriva il momento in cui la sua carriera svolta partendo dalla panchina: "Ne ho marcati tanti in carriera. E' dura, ma il mio compito è fargli prendere il tiro più difficile possibile"- queste le sue parole dopo gara 1 quando la sua difesa su James stava assumendo già una solidità commendevole.
Questo gli ha permesso prima di guadagnare minuti importanti oltre a quelli di cui già disponeva, ma anche di convincere Kerr a farlo partire in quintetto in luogo di Bogut. Lui nei momenti decisivi ha sempre risposto presente, segnando tutti i bank shot importanti pur non essendo un tiratore e limitando (per quanto possibile) l'extraterrestre James. In gara 6 ha impreziosito un'incredibile escalation con 25 punti e una fiducia sui jumper in uscita dal pick and roll mai vista, che gli ha permesso di prendersi un tanto inaspettato quanto meritato MVP.
A Golden State ha trovato la sua dimensione, ovvero quella di essere un giocatore importante, un'arma tattica che nessuno può permettersi, addirittura concedendo a Curry e Thompson di giocare off the ball combinandosi in una delle doppie uscite più pericolose dai tempi della coppia Rose-Miller che portò in finale i Pacers nel 2000.
E' il premio alla classe operaia che va in paradiso e Iggy ha sempre badato poco alla forma e molto alla sostanza non preoccupandosi di sporcare mani e piedi per la vittoria. Spesso questo è stato fonte di critiche nei suoi confronti, ma lui ha continuato e ha risposto presente nell'occasione più importante della carriera, diventando il principale artefice di un anello nella squadra di Curry, Thompson, Bogut e Green. Se non è sostanza questa...